martedì 11 dicembre 2012

Perché il secondo pilastro di Camera e Senato non è conveniente. Secondo me


Molti colleghi e colleghe mi hanno chiesto una opinione sulla opportunità di aderire alla contribuzione integrativa istituita presso Camera e Senato.
I due istituti sono molto simili e sono sottoponibili al medesimo ragionamento avendo in comune il funzionamento generale e suscitando i medesimi dubbi.

I maggiori punti di criticità del sistema derivano dalla distanza temporale intercorrente tra l’impegno del dipendente, che il contributo aggiuntivo lo versa immediatamente, e quello delle Amministrazioni.
Le due Amministrazioni, infatti, al momento si limitano ad impegnarsi a liquidare la pensione sulla base di un montante contributivo incrementato della quota effettivamente a carico del lavoratore e di una quota a carico del datore di lavoro.
Il rapporto è quindi fortemente squilibrato con il lavoratore che versa oggi ed il datore che si impegna a versare, domani.
Ciò crea i presupposti per l’esposizione, da parte del dipendente investitore, ad una serie di rischi, rischi che è assolutamente necessario tenere ben presenti al momento di decidere in merito all’adesione alla contribuzione integrativa.
Il dipendente investitore si espone infatti sia ad una serie di rischi generali, comuni ad ogni investitore che acceda a questo tipo di investimento, e sia a taluni rischi aggiuntivi derivanti dalle peculiari caratteristiche dei datori di lavoro.
Tralascerei ogni approfondimento sui rischi generali derivanti, a mero titolo esemplificativo, dal default della Repubblica o dalla uscita del nostro Paese dall’area Euro così come tralascerei ogni approfondimento sulle situazioni economico finanziarie individuali, che meriterebbero tutt’altra allocazione e disponibilità, e ogni sterile ragionamento sugli effetti della chiusura di uno o di entrambi i rami del Parlamento nazionale per concentrarmi esclusivamente sui rischi ‘caratteristici’ derivanti dalle peculiarità giuridiche e normative della controparte di questa forma di investimento e dell’investimento in generale......

lunedì 19 novembre 2012

Eccertochessì eccertopurecanno'

Da Repubblica
http://www.repubblica.it/politica/2012/11/19/news/report_fa_luce_sui_rimborsi_ai_gruppi_parlamentari-46978472/

Vi segnalo l'imperdibile passaggio:
"un gruppo parlamentare ha in organico una folta schiera di personale che gravano sul bilancio del gruppo e percepiscono un'indennità che è qualificata come rimborso, e non come compenso, restando quindi esenta da tasse. L'indennità dei capigruppo inoltre ha un valore del tutto discrezionale, e non viene reso pubblico"

venerdì 16 novembre 2012

10 cose da fare a Roma se lavori in Parlamento...

...hai finito di lavorare alle 6 del mattino dopo 18 ore ininterrotte e tra 90 minuti devi tornare in ufficio perché è già domani.
1) Fare colazione a Piazza San Lorenzo, davanti alla Chiesa dedicata al medesimo Santo, e guardare i più fortunati andare a fare jogging in una Roma deserta ed incantata;
2) Prendere un autobus fin su, su, in cima alla scalinata di Trinità dei Monti e tornare in ufficio a piedi ciondolando davanti alle vetrine dei negozi ancora chiusi;
3) Un caffè in Galleria Sordi, ma sarebbe uno dei primi;
4) Arrivare al Pincio e vedere i tetti di Roma inondati dalle prime luci del giorno;
5) Arrivare all'Isola Tiberina a vedere il livello di piena del Tevere e fare battute coi colleghi sulla destinazione delle pantegane fuggite alle acque;
6) Andare a mangiare i cornetti caldi al forno;
7) Andare a mangiare la pizza da Roscioli;
8) Andare a prendere il cappuccino al bar di Via Arenula;
9) Visto che a quell'ora a Roma in realtà non c'è un accidente da fare andaresene in giro con i colleghi chiacchierando e facendo baccano;
10) Pensare a quanto sono simpatici i giornalisti quando scrivono, in bella forma, che in fondo tu non fai un piffero di utile e sei strapagato.


Lo stenografo, questo sconosciuto

Ma tu guarda se a diventare un problema per il Paese adesso è il nome delle qualifiche dei lavoratori del Parlamento.
Almeno un tempo si attaccavano i dipendenti di Camera e Senato per gli stipendi, citando ovviamente come stipendio dei dipendenti il livello raggiungibile al 75esimo anno di carriera a patto di avere un minimo di 115 anni di contribuzione complessiva ed essere accompagnato all'incasso da tutti e 8 i bisnonni, come ad esempio facevano due specialisti del settore come l'inossidabile duo Stella e Rizzo. Scherzi a parte solo a gennaio i due del Corriere titolavano che "lo Stenografo del Senato è pagato come il re di Spagna", proprio così con il verbo essere al presente, come se fosse oggi, come se fosse vero.
Dopo neanche 11 mesi in un oscuro trafiletto in fondo ad un'altra testata si legge invece che "È stata falsamente attribuita a tutti gli stenografi una retribuzione che in realtà è possibile raggiungere solo in particolari condizioni di carriera e anzianità, di cui nessuno attualmente gode, né probabilmente godrà mai in futuro. È come se, parlando dei costi della Difesa, fosse stata attribuita a tutti i militari la retribuzione dei generali di corpo d'armata."
Discorso finito dunque?
Neanche per sogno perché nei commenti a questo secondo articolo si legge "ha senso uno/a stenografo/a nel terzo millennio? non sarebbe meglio usare qualche tecnologia più recente? Lo stenografo è un lavoro del passato, più o meno come il rumorista".
Come se davvero lo stenografo stesse lì a stenografare e basta con la matita ed il blocchetto sul tavolino.
Alcuni anni fa con un gruppetto di colleghi ragionavamo della necessità di adeguare anche le denominazioni delle categorie dei dipendenti del Parlamento ed a titolo di esempio portavo il fatto che per fare il ragioniere alla Camera è richiesta laurea, esperienza professionale e iscrizione all'albo, e spero di non aver dimenticato nulla, ma poi sul tesserino è scritto ragioniere e qualche giornalista malizioso fa il confronto del livello stipendiale tra lavoratori con funzioni totalmente diverse ma la cui categoria ha incidentalmente lo stesso nome, confrontando lo stipendio del ragioniere della Camera con quello di un neodiplomato al primo impiego e trovando, e lo spero bene, una certa differenza.
L'amara conclusione fu che non sarebbe servito a nulla, come del resto era dimostrato dal fatto che ancora, molto maliziosamente, i giornalisti insinstevano ed insistono a definire commessi gli assistenti parlamentari così da poter confrontare al ribasso gli stipendi e poterli giudicare troppo elevati.
Io a questa conclusione mi sono sempre opposto e continuerò a farlo.

A.

martedì 9 ottobre 2012

Un metro di paragone per gli stipendi di Camera e Senato

Valutare un salario senza contestualizzarne l’entità e senza rapportare il dato secco a quelle che sono quantità e qualità del lavoro prestato è, a seconda di chi effettua la valutazione, una sciocchezza o uno strumento di distorsione dell’informazione.
Così come valutare un monte stipendi senza creare neanche un paragone ha il medesimo effetto.
Alcune settimane fa una trasmissione Rai, ad esempio, ha intercettato i colleghi del Senato interrogandoli, intervistandoli non rende giustizia al clima di intimidazione trasmesso dal servizio, sul punto e ‘dimenticando’ di parametrare i dati.
Sperando di fare cosa utile alla Rai, in quanto servizio pubblico pagata dai soldi dei contribuenti, ci permettiamo di suggerire qualche utile metro di paragone.
Il totale degli stipendi netti erogati dal Senato della Repubblica ai suoi dipendenti di ruolo, a tutti i suoi dipendenti dal Segretario Generale giù fino all’ultimo rigo dell’ultima pagina del ruolo, è inferiore di qualche decina di milioni alla spesa affrontata dalla RAI per assicurarsi la trasmissione dell’ultimo, imperdibile, campionato europeo di pallone. Ai cittadini è infatti costata la bella cifra di oltre 101 milioni di euro non l’onore e l’orgoglio di poter assistere alle partite di pallone degli europei. A costare tanto è stato il gioco dell’asta, il diritto di poterle trasmettere a tutti, anche ai milioni di cittadini che non hanno il calcio tra i propri interessi. La RAI in buona sostanza ha speso i miei soldi per impedire che le partite venissero trasmesse in pay per view, modalità nella quale io e alcuni altri milioni di italiani non avremmo tirato fuori un soldo evitando di assistere ad uno spettacolo che non ci interessa, e dopo aver dilapidato le mie sostanze ha, a quel punto logicamente, tempestato di ‘informazione’ me e milioni di italiani su uno sport che non seguiamo e non ci interessa.
Il totale degli stipendi netti erogati dalla Camera dei deputati è nettamente inferiore, con una differenza nell’ordine di alcune decine di milioni di euro, alla mostruosa perdita prevista per l’esercizio 2012 dalla Rai, perdita prevista in circa 200 milioni di euro.
Il costo complessivo a carico dei cittadini per il funzionamento della Camera dei deputati, ovvero il trasferimento annuale di fondi dal bilancio dello Stato a quello della Camera, è nettamente inferiore, anche in questo caso di alcune decine di milioni di euro, al solo costo complessivo del personale RAI, costo che ammonta alla spropositata cifra di 1,027 miliardi di euro.
Il costo complessivo a carico dei cittadini per il funzionamento del Parlamento italiano, ovvero dell’organo centrale e sovrano in una repubblica parlamentare, è nettamente inferiore, di un paio di centinaia di milioni di euro, rispetto al costo sostenuto dai cittadini italiani per tenere in piedi la RAI. Dal canone televisivo infatti, ovvero da quella che è una tassa a cifra fissa e che per questo colpisce maggiormente le fasce di popolazione a reddito più basso, la società incassa circa 1,7 miliardi di euro.
La prossima volta che incrociamo un giornalista RAI potremmo chiedergli conto di questi dati.


martedì 2 ottobre 2012

Quando i giornali fanno politica


Molti colleghi mi hanno fatto notare come e quanto sia diverso l’approccio a talune questioni quando queste vengono presentate da persone che hanno sensibilità o, più prosaicamente, interessi differenti.
A luglio avevo pubblicato un articolato pezzo sulla questione del buco che l’Inpdap aveva portato in dote all’INPS al momento della fusione tra i due enti di previdenza, stessa questione è stata affrontata in un pezzo del Corsera di ieri.
Senza ovviamente voler avere l’ardire di confrontare una corazzata dell’informazione come il Corriere della Sera con un carrarmatino del Risiko come Dazebao è evidente come la stessa notizia possa essere usata per trasmettere informazioni diametralmente opposte.
Naturalmente ciò può dipendere da atteggiamenti, anche inconsci ed involontari, di servilismo nei confronti di chi alla fine del mese ti paga lo stipendio oppure da quel filtro dato dalle già citate sensibilità individuali che spingono l’estensore di un pezzo a vedere in una notizia non solo ciò che c’è ma anche ciò che si aspettava che ci fosse.
Ma fino a che punto è lecito spingere il filtro che ciascuno di noi pone alle informazioni che riceve, entro quali limiti una notizia è interpretata e da quale punto in poi è del tutto inventata?
Se esistono infatti notizie che, pur platealmente ed evidentemente prive di fondamento, riescono comunque a trovare qualche anima candida che se le beve, come i famosi 9 barbieri di Montecitorio che verrebbero tutti dalla stessa regione (sigh) e guadagnerebbero 11.000 euro al mese (strasigh) come venne delirato dall’ormai dimenticato Spider Truman l’anno scorso, a maggior ragione sarà facile trovare qualcuno che aderisce anima e corpo ad una notizia che è a tutti gli effetti vera, sebbene interpretata e virata all’utilizzo politico che se ne vuole fare o che ne vorrebbe fare il datore di lavoro di chi elabora il pezzo.
Quando poi una informazione che è politica e di parte viene camuffata da informazione terza ed imparziale allora diventa necessario reagire e far sentire l’altra campana, l’altra interpretazione, l’altra verità.



mercoledì 19 settembre 2012

Legge lettorale???


E comunque ho dei colleghi che sono uno spasso.....

Auguriamo lunga vita e tanta pazienza ai sindacalisti del Senato

Già è difficile fare una riunione con qualcuno che si distrae e si mette a trafficare col cellulare. Se questa persona poi è tutta presa a pubblicare sul proprio profilo FB improperi sul tuo conto la riunione è un immenso esercizio di pazienza e temperanza.
Il senatore Questore Paolo Franco, durante una riunione con i sindacati del Senato, ha infatti ritenuto più interessante restare in linea con i suoi supporter.
Questo lo scambio sul profilo del senatore
Paolo Franco:
Assemblea in corso con i Sindacati dei dipendenti del Senato. Quelli che prendono 10.000 euro al mese. LA GENTE DOVREBBE ESSERE QUI ED ASCOLTARE LE LORO PRETESE E LA DIFESA SFRENATA DEI LORO MILLE PRIVILEGI!!!!
  • Leganord San Donà la prossima volta invitateci che non mancheremo.
  • Mauro Spinello quali sono i partiti che li appoggiano ?
  • Paolo Franco la CGIL è la più scatenata...
  • Mauro Spinello è la sigla che lotta maggiormente x i suoi tesserati... quando gli conviene!
  • Guido Raule Basta dire loro che si vergognino con quello che c'è in giro !! Mandateli a casa tutti !! Venite via da quel porcillaio, cosa fate ancora lì !! Con gente che prende 400 euro di pensione al mese e questi hanno il coraggio di protestare con quel cazzo che fanno !! Bastaaa Italia !! WSM
  • Piero Molon Sì, ci sarebbe molto da fare nel territorio ....
  • Laura Agosti una cosa alla volta,poi arriviamo anche lì,promesso
Con i miei migliori auguri di una lunghissima e paziente carriera ai sindacalisti del Senato.
A.

lunedì 17 settembre 2012

Perchè dovrebbe essere impedito ai dipendenti del Senato di fare sindacato?

Diciamo pure che l’articolo di Rizzo e Stella era largamente atteso, potremmo quasi dire annunciato, ma a stupire sono i termini in cui l’inossidabile duo stavolta si spende.
Oggetto del contendere sono gli scatti di carriera, un aspetto del contratto che è tra i più soggetti ad interpretazioni di parte.
Da parte di chi ha una visione più aziendalistica, o ad esser maliziosi più padronale, sono un grosso peso sullo stomaco. Da parte di chi vede i dipendenti del Parlamento come dipendenti della Istituzione, e non del Presidente e della maggioranza di turno, il tentativo di spostare altre quote della carriera economica dagli ‘automatismi’ a meccanismi in cui si venga a creare una anche debole soggezione viene visto come il tentativo di limare la autonomia della burocrazia parlamentare.
Ammetto che trovarsi con dei dipendenti che hanno una quota sostanziale della loro carriera garantita è scioccante per chi è abituato a sentirsi dire sempre di sì,  bisognerebbe però cominciare a chiedersi se ci piacerebbe davvero di più vivere in un Paese in cui i pesi e contrappesi studiati dai padri della Costituzione vengano limitati o azzerati.
A colpire sono però alcune apparentemente innocue ossessioni, anche piuttosto offensive, come quella di definire ‘commessi’ gli Assistenti Parlamentari; cosa che, secondo i colleghi più maliziosi, non dipenderebbe da una presunta necessità di chiarezza o di sintesi nei confronti del pubblico né tantomeno dal fatto che Stella e Rizzo proprio non riuscirebbero a comprendere la differenza ma servirebbe invece ad assicurare una confrontabilità al ribasso con una categoria a reddito minore.
Ma il pezzo certamente più preoccupante è quello con coppola e lupara alla fine dell’articolo: “Questo pomeriggio, quando si ritroveranno all'assemblea convocata dalla Cgil ….. sarebbe un peccato se i dipendenti del Senato alzassero le barricate. E guai se lo facesse, per rastrellare consensi, qualcuno dei 14 (quattordici!) sindacati autonomi interni.”.
Perché, se i Sindacati fanno sindacato che succede?

A.



Per chi il 7 agosto se la fosse persa...

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 13,58)
Dimissioni della deputata Marilena Parenti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le dimissioni della deputata Marilena Parenti. Prego i colleghi di prestare attenzione.
Comunico che in data 30 luglio 2012 è pervenuta alla Presidenza la seguente lettera dell'onorevole Marilena Parenti:
«Egregio Presidente,
con la presente sono a rassegnare le mie dimissioni dalla carica di Deputato assunta in data 7 giugno 2012.
Dopo la seria e approfondita riflessione che una tale opportunità merita, e confesso non senza sentimenti contrastanti, mi trovo a dover prendere atto della mia impossibilità di svolgere tale ruolo con l'energia, l'impegno e la dedizione che meriterebbe.
Tengo a sottolineare che le ragioni di una tale decisione sono esclusivamente personali ed essenzialmente legate alla mia situazione di vita, profondamente diversa da quella in cui mi trovavo 4 anni fa, quando risultai prima dei non eletti nella mia circoscrizione (Lodi, Pavia, Cremona e Mantova).
Pochi mesi dopo le elezioni del 2008 presi la decisione di trasferirmi a Londra per motivi personali. Qui ho realizzato i miei progetti di vita professionale e personale. Vivo tutt'oggi nel Regno Unito col mio compagno.
La notizia delle dimissioni di Antonello Soro, lo scorso Giugno, e l'automatica mia proclamazione a deputato sono arrivate in un momento delicato della mia vita: fra poco più di tre mesi io e il mio compagno diventeremo genitori di una bambina» (Applausi).
«Se, da una parte, ho sempre creduto nella necessità di una conciliazione dei Pag. 54tempi della vita personale e professionale, specialmente per le donne, dall'altra parte so che essere deputato non è un lavoro come un altro. Fatto con la serietà, l'onestà e l'energia che una simile carica merita, un tale impegno può necessariamente limitare il ruolo che voglio avere nella vita di mia figlia, soprattutto in una fase iniziale, e in qualche modo dividere la nostra famiglia frapponendo migliaia di chilometri fra i suoi membri.
Allo stesso tempo, nei prossimi mesi, peraltro i mesi finali della legislatura, il mio contributo come deputato sarebbe estremamente limitato, rendendo il mio ruolo ineffettivo. Servire il mio Paese e avere la possibilità di agire a livello nazionale portando avanti i valori in cui credo sarebbe stata una delle esperienze più rilevanti del mio percorso personale e politico. Credo però, con la serenità che ho oggi, che ci siano modi e tempi nella vita e che questo sia per me il tempo di fare scelte diverse.
Chiedo dunque che le mie dimissioni vengano accolte. Ringrazio dell'attenzione e porgo cordiali saluti. Firmato: Marilena Parenti» (Applausi).
Avverto che, ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del Regolamento, la votazione avrà luogo a scrutinio segreto mediante procedimento elettronico.
FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, c'è una prassi consolidata nel nostro Parlamento per cui, quando un deputato rassegna le dimissioni, per un atto di cortesia in genere vengono respinte. La lettera che lei ha appena letto imporrebbe, proprio per la nobiltà dei contenuti, che quest'Aula respingesse queste dimissioni, perché sono davvero motivate in una maniera che tocca la coscienza di ciascuno di noi e ci interroga in un momento in cui i rappresentanti del popolo, eletti in questo Parlamento, non godono proprio di chiara fama.
Tuttavia, mi rendo conto della situazione in cui ci si trova...
PRESIDENTE. Colleghi, vi prego.
FABIO EVANGELISTI. Per questo motivo, pur affidandoci al voto segreto, non ho alcuna difficoltà ad annunciare che il voto dell'Italia dei Valori darà un voto a favore, nel rispetto delle valutazioni e delle volontà della collega, a cui faccio i migliori auguri (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione segreta, mediante procedimento elettronico, sull'accettazione delle dimissioni della deputata Parenti.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevoli Zeller, Brugger, Bosi...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 379
Votanti 371
Astenuti 8
Maggioranza 186
Voti favorevoli 279
Voti contrari 92
(La Camera approva - Vedi votazioni).
Prendo atto che il deputato Scilipoti ha segnalato che non è riuscito a votare.

giovedì 13 settembre 2012

Ma sulla Camera dei deputati si fa a chi la spara più grossa?

A molti sembra una insensata gara a chi spara la frescaccia più grossa, qualche dietrologo ci legge oscure macchinazioni, qualche grembiulino e una malvagia mente che regge tutto il teatrino.
Personalmente non ci vedo né l’uno né l’altra, né una gara né una mente.
C’è però da restare basiti nel pensare che qualcuno che riesca ancora a credere che i barbieri della Camera guadagnino ottomila euro netti al mese lo si riesca ancora a mettere insieme, mi verrebbe da pensare che stiano ormai grattando il fondo del barile se non fosse che a volte questa scemenza  esce su giornali importanti e con firme importanti.
Il Messaggero, ad esempio, nella rubrica “A tu per tu” di Roberto Gervaso di oggi, 13 settembre 2012, riportava l’appassionata lettera di tale A.Q. che spiegava come alla Bundesbank, alla Finlandia e all’Olanda gli venga “il mal di stomaco nel sentire che il parrucchiere di Montecitorio prende uno stipendio di ottomila euro al mese” (E’ inutile che ridete, usava proprio queste parole, non ho messo il virgolettato così a caso).
Agghiacciante è poi la risposta di Gervaso, che dopo aver completamente dimenticato il primo dovere di ogni giornalista, quella verifica delle fonti che impedisce di pubblicare immonde sciocchezze come se fossero specchiate verità, dichiara: “Parole sante” per poi continuare con un imperdibile “Ma non capisco perché guadagni tanto, non capisco perché chi lo in toeletta intaschi ottomila euro al mese”.
E’ del resto del tutto evidente come l’Amministrazione della Camera non possa mettersi ad inseguire ogni sciocchezza venga pubblicata sul conto dei propri dipendenti, ma almeno quelle più macroscopiche, almeno quelle si. E questa di Gervaso e del Messaggero mi sembra rientrarci a pieno titolo.

A.

L’articolo di Gervaso sulla Rassegna Stampa della Camera lo trovate qui.

sabato 8 settembre 2012

A proposito di agendine

Si sa, per Natale è necessario organizzarsi con largo anticipo e quest’anno, nei corridoi, si è già cominciato a parlare di come gestire l’immancabile appuntamento natalizio.
Tema specifico della succinta discussione il comportamento da adottare nei confronti delle celeberrime agende recanti il logo della Camera dei deputati, ricercatissime e vituperatissime protagoniste di tante e tante pagine dei giornali nazionali.
Al momento, tra i dipendenti di Montecitorio che hanno un approccio critico nei confronti dell’ “Affaire agende”, le scuole di pensiero che si contrappongono sono sostanzialmente due, mentre la prima accoglie chi non ritirerà l’oggetto, per espresso o tacito rifiuto a farlo, la seconda accoglie chi invece vorrebbe provvedere al ritiro per poi donare le agende ad un qualche ente di beneficenza o di ricerca per farle mettere in vendita.
Con la prima soluzione le agende non ritirate resterebbero inutilizzate e le risorse impiegate per la loro stampa, i soldi versati al produttore, sarebbero persi.
Con la seconda soluzione invece verrebbero incassati dei soldi che sarebbero utilizzati in materia proficua.
Più di un collega ha obiettato che mettere il banchetto a Piazza di Montecitorio per vendere le agendine sarebbe un gesto masochistico che esporrebbe i dipendenti di Montecitorio a forti critiche. Non riesco ad immaginare la motivazione della critica, che comunque ci sarà, ma obietto nel contenuto, i dipendenti della Camera non dovrebbero infatti procedere ad alcuna vendita ma si limiterebbero a donare le agende a scopo di beneficenza, la vendita sarebbe effettuata dall’Ente con cui troveremmo l’intesa per la donazione.
Noi doniamo le agende e l’Ente incassa i proventi della vendita.
L’unico aspetto che potrebbe essere da approfondire, sempre che l’idea continui a circolare nei corridoi e non venga soffocata in culla da qualche accadimento, sarebbe quello squisitamente legale, sarebbe cioè da capire se le mitiche agendine costituiscono per il dipendente della Camera un dono o una dotazione.
Se fosse una dotazione avremmo infatti le mani legate.

A.

giovedì 21 giugno 2012

Indennità di palazzo o soprassoldo?

Perché è così difficile da spiegare la questione del soprassoldo e perché i giornalisti italiani si ostinano a definirla indennità di palazzo?
Negli ultimi giorni i riflettori dei media si sono puntati su una somma, al Senato sono circa 3 milioni e mezzo di euro annui, che viene erogata ai lavoratori dipendenti di terze parti che prestano il proprio servizio all’interno dei Palazzi.
L’autore dell’articolo del Corsera, Rizzo, in particolare sottolinea come “già il fatto che un lavoratore dipendente debba avere una retribuzione aggiuntiva da un'amministrazione diversa dalla sua per fare lo stesso lavoro che qualunque suo collega meno fortunato svolge altrove in condizioni certamente più disagiate, soltanto perché è nel cuore del potere, è abbastanza curioso. Ma che all'indennità abbiano diritto anche alcuni privati è addirittura sorprendente”.
E la sottile differenza tra Indennità di Palazzo e soprassoldo è tutta qui, in questa frase del cronista, ciò che evidentemente non si riesce a comprendere è che il soprassoldo è dovuto a quei lavoratori che effettuano una prestazione lavorativa differenziata o che sono sottoposti ad un turno di servizio particolarmente gravoso.
I dipendenti dell’Ufficio Postale, ad esempio ma è un esempio che può essere esteso a tutti i percettori del soprassoldo, sono sottoposti al seguente orario di apertura dell’ufficio dal lunedì al giovedì 8-21 o fine seduta, il venerdì 8-20 o fine seduta, il che implica che se la seduta prosegue fino alle 3 o alle 4 quelli devono restare in ufficio per poi rientrare in servizio la mattina successiva. Principalmente implica che quando escono di casa dicono alle loro famiglie “Ci vediamo” e non “Ci vediamo alle 21” per chè sono sottoposti ad una sostanziale indeterminatezza del termine della loro prestazione lavorativa.
Leggo dall’articolo del Corsera che i dipendenti dell’Ufficio Postale del Senato percepirebbero un soprassoldo compreso tra 200 e 1.000 euro lordi mensili, quindi a partire da circa quattro (4)  euro netti  al giorno.
Si vuole risparmiare su questo soprassoldo? Tenendo presente che è il corrispettivo per una prestazione eccedente l’ordinario richiesta ai lavoratori si può eliminare il soprassoldo se si elimina la prestazione corrispettiva richiesta, ovvero risparmiamo i circa 4 euro al giorno con cui il dipendente delle Poste è stato premiato finora ed eliminiamo quell’orario indeterminato di chiusura degli uffici postali, eliminiamo quel ‘o fine seduta’ dall’orario di chiusura e assegniamo a coloro che prestano servizio presso Camera e Senato solo il lavoro generalmente assegnato ai dipendenti delle Poste.
Si può ragionare di una diminuzione del livello dei costi, di una conseguente riduzione dei servizi, di una riduzione o di una abolizione del soprassoldo, ma senza cadere nella trappola populista, qualunquista e demagogica che i dipendenti delle Poste di Camera e Senato devono lavorare di più, assicurare un orario estremamente elastico di servizio e avere il medesimo stipendio percepito dal loro collega che fa un comodo 9-17 ed ha la possibilità di uscire di casa dando un appuntamento alla propria famiglia.



Amerigo Rivieccio

lunedì 21 maggio 2012

A proposito di ‘normalizzazione’

Si è spesso parlato di ‘normalizzazione’ del rapporto di lavoro che lega i dipendenti di Camera e Senato alle rispettive Istituzioni. Purtroppo però viene spesso analizzato, in maniera ottusa o maliziosa, solo l’aspetto reddituale del rapporto senza comprendere che molti istituti potrebbero transitare anche ad altri lavoratori proprio da una finestra di paragone che si vorrebbe unidirezionale. La soluzione in sé non costituirebbe neanche una novità assoluta ed è già stata percorsa, almeno come modus operandi, ma sarebbe egualmente dirompente per effetti ed accoglienza.
Molti degli istituti riservati ai dipendenti del Parlamento sono infatti visti come un sogno da coltivare, un ideale da accarezzare nei più belli e rosei sogni notturni, un vero mondo incantato per i datori di lavoro, un paradiso in terra per i padroni dotati dei peggiori istinti nei confronti dei propri lavoratori, cominciando, ovviamente, da un diritto allo sciopero pressoché azzerato.
Ma il sostanziale quasi azzeramento del diritto allo sciopero dei lavoratori così come il mancato recepimento della Direttiva dell’Unione Europea sull’intervallo minimo, pari a 11 ore, tra la fine di un  turno di lavoro e l’inizio del successivo, viene comunque fortunatamente visto come un tabù. Sono e resteranno quindi solo i dipendenti del Parlamento a non poter godere appieno del diritto allo sciopero e ad avere la possibilità di smontare dopo 10 ore di servizio, fare un salto a casa per una doccia e rimontare, dopo due ore, per un altro turno.
Quello che invece potrebbe ‘transitare’ molto più facilmente verso altri rapporti di lavoro è tutta quella serie di obblighi aggiuntivi o di rinunce a diritti visti come minori.
Per i dipendenti della Camera sono particolarmente interessanti i due punti che seguono:
-         L’orario di lavoro di 40 ore settimanali con l’obbligo però di svolgere almeno 50 ore di straordinario annuo non retribuito, previsioni che, in nome della produzione più che della produttività, potrebbero riguardare tutto il mondo del pubblico impiego ;
-         L’obbligo di esclusività del rapporto di lavoro cui è soggetto anche il dipendente con un contratto di lavoro part-time al 50 per cento, una previsione questa che potrebbe essere estesa a tutti i lavoratori;
Ed anche a mero carattere sperimentale potrebbe essere interessante applicare le medesime limitazioni anche agli eletti, prevedendo quindi anche per i parlamentari l’obbligo di presenza per 40 ore settimanali a Palazzo ed il divieto di svolgere qualsiasi altra professione. Potrebbe essere un modo, per gli onorevoli, di non perdere il contatto con la realtà quotidiana di chi lavora.


Amerigo Rivieccio


venerdì 11 maggio 2012

Pensioni. Con il contributivo per i part-time pensioni più basse. E sono soprattutto donne

Il sistema di calcolo contributivo delle pensioni oltre ad essere stato il grimaldello utilizzato per assaltare le pensioni di tutti i lavoratori italiani ha alcuni difetti insiti nella propria modalità di funzionamento che sono strutturali e su cui occorrerebbe intervenire normativamente.

Più volte sono state illustrate le due principali soluzioni adottate per tenere più basse possibili le pensioni dei lavoratori, attraverso la scelta di tassi di rivalutazione dei montanti contributivi e di conversione di questi montanti in rendita a dir poco opinabili, ma esiste anche un problema di genere collegato alla fruizione di periodi di lavoro ad orario ridotto.
Con il contratto part-time infatti la contribuzione che viene accantonata dal lavoratore sul proprio montante contributivo individuale e che verrà poi trasformata in pensione al cessare dell’attività professionale è ridotta, come l’orario e come la retribuzione.

Ci saranno quindi accantonamenti ridotti che comporteranno pensioni più basse.
La questione diviene di genere dando un’occhiata ai dati sul lavoro part-time in Italia. Nel 2010, ad esempio, delle persone in possesso di un lavoro ne risultavano impiegati a tempo parziale il 15 per cento.
Il dato per genere è però assolutamente polarizzato in quanto risultavano impiegati part-time appena il 5,5 per cento dei lavoratori di sesso maschile a fronte di un sostanzioso 29 per cento delle colleghe lavoratrici.
Con i dovuti arrotondamenti appena un uomo su 20 e quasi una donna su 3 oggi sono a part-time e domani percepiranno una pensione minore.
La quantificazione del danno è solo indicativa, come sempre in caso di proiezioni a lunga scadenza e su basi incerte, ma si aggira su una riduzione del rapporto tra il primo assegno di pensione e l’ultimo stipendio di poco meno dello 0,5 per cento per ogni anno di part-time al 75 per cento e poco meno dell’uno per cento per ogni anno di part-time al 50.
Così un lavoratore che resta in part-time al 50 per cento per 6 anni perderà una parte del proprio assegno di pensione pari al 6 per cento del proprio ultimo stipendio, mentre se avrà optato per il 75 per cento perderà appena, si fa per dire, il 3 per cento.

Trattandosi poi di una scelta così caratterizzata per genere, almeno in Italia, e che quindi denota come essa sia vissuta come una risposta, spesso l’unica possibile, ad altre problematiche, in primis familiari, è evidente come sia del tutto necessaria una risposta normativa che possa annullare o almeno limitare gli effetti pensionisticamente punitivi del lavoro ad orario ridotto.
In sintesi, almeno per chi percorre la strada del part-time in presenza di figli minori, almeno in presenza di figli molto piccoli o con disabilità, chi assiste (mi permetto di aggiungerci realmente) un parente invalido o è egli stesso invalido, almeno per i lavoratori part-time in queste particolari condizioni si dovrebbero cercare e trovare soluzioni.

La prima soluzione potrebbe essere quella di mettere a carico della fiscalità complessiva tutta o una parte della contribuzione mancante alla contribuzione full-time del lavoratore. Il lavoratore ed il datore di lavoro versano la contribuzione sulla quota di retribuzione derivante dalla quota di orario di lavoro svolta e la restante parte viene versata dallo Stato. Questa soluzione costa soldi veri oggi.
La seconda soluzione potrebbe invece essere quella di mettere a carico della fiscalità complessiva tutta o una parte della pensione mancante al lavoratore che gode oggi di part-time. I versamenti di oggi sono ridotti ed al momento della pensione si effettua il calcolo dell’assegno con i contributi effettivamente versati e come se i contributi effettivamente versati fossero stati quelli del lavoro full-time, mettendo a carico della fiscalità generale tutta o una parte della differenza.
Questo costa la promessa di soldi veri, e domani costerà soldi veri quando si dovranno pagare le relative integrazioni.
La terza soluzione, che è quella che sostanzialmente si sta percorrendo oggi, non costa nulla e si è già dimostrata vincente più volte, è quella del silenzio.
Nessuno ne parla, pochissimi se ne accorgono e molti, quando se ne accorgono, scoprono che è troppo tardi per fare qualcosa.

Amerigo Rivieccio

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martedì 8 maggio 2012

Montecitorio. Purtroppo un altro decesso

In meno di quattro mesi ed una settimana i dipendenti in servizio alla Camera dei deputati deceduti per motivi di salute sono 4.
Il discorso che facevamo un mese fa sul fatto che nei primi tre mesi del 2012 avevamo perduto un collega al mese resta quindi sostanzialmente identico anche oggi.
Purtroppo.
E resta ancora valida la riflessione sul tasso di mortalità dei dipendenti della Camera dei deputati, che rimane uguale a quella di un gruppo di soli uomini di circa 60 anni di età o di un gruppo di sole donne di circa 67, a fronte di una età media inferiore.

giovedì 3 maggio 2012

Il vero nemico è chiunque riesca a restare fedele alle Istituzioni?

La serie di servizi su quello che è stato battezzato piuttosto pomposamente "il mistero della spesa al Parlamento" ha particolarmente colpito la sensibilità dei dipendenti della Camera dei deputati in generale e la mia in particolare.
Il motivo del contendere è noto un po’ a tutti, due addetti sono stati intercettati mentre portavano delle cibarie in una sede della Camera dei deputati. Per una riunione ai massimi livelli istituzionali o per un incontro estremamente riservato, per un mini vertice istituzionale o per una audizione informale non si sa e non è dato saperlo in quanto i due colleghi rispettano il vincolo di riservatezza cui sono, e siamo, soggetti e rifiutano di rispondere.

mercoledì 11 aprile 2012

Madama e Montecitorio

Visti da fuori sembrano dei posti in cui si lavora davvero poco, dove tranquilli dipendenti benestanti si aggirano sereni tra un pranzo a base di caviale e spumante ed una spuntatina ai capelli. Ormai sono infatti anni che non si riesce più a parlare del lavoro dei dipendenti delle Istituzioni senza finire a parlare del ristorante del Senato o del celeberrimo barbiere della Camera dei deputati. Come invece sa molto bene chi supera certi ingressi solo dopo un concorso la realtà è decisamente differente ed è assolutamente invisibile agli osservatori esterni.
E’ ormai da alcune settimane che nei corridoi di Montecitorio frequentati dai dipendenti si respira una certa preoccupazione. Nulla a che vedere con il futuro del Governo e nessun interesse per l’esito del prossimo voto di fiducia, i dipendenti della Camera sono, molto più semplicemente ed umanamente,  preoccupati per la propria salute.
Nel corso del 2012 la Camera dei deputati ha infatti fatto segnare una preoccupante striscia negativa, perdendo per decesso un dipendente in servizio ogni mese.
In ognuno dei tre mesi conclusi nel corso del 2012 un gruppetto di dipendenti della Camera si è raccolto al capezzale di un collega scomparso prematuramente per augurargli buon viaggio.
Una percentuale, 3 persone su 1.600; quasi il 2 per mille, l’1,875 per mille nel primo trimestre, una scansione temporale mensile del decesso di un collega che ad una prima lettura potrebbe sembrare semplicemente preoccupante.
Ma ciò che era preoccupante diventa devastante allorquando si prenda il dato, si proceda a proiettarlo sull’intero anno e lo si confronti con la probabilità di morte per fasce di età della popolazione italiana nel suo complesso.
Il tasso di mortalità annualizzato è infatti pari addirittura al 7,5 per mille, un dato terribile che, confrontato con le probabilità di morte per età anagrafica diffuse dall’Istituto nazionale di Statistica, nella popolazione italiana, urla tutta la sua gravità.
Per trovare probabilità di morte attese del 7,5 per mille occorre infatti arrivare, per gli italiani di sesso maschile, a quasi 60 anni di età e per le italiane di sesso femminile a quasi 67 anni di età.
Per la precisione gli italiani maschi di 59 anni hanno il 7,42 per mille di tasso di mortalità, mentre i maschi di 60 anni hanno il 7,86 per mille, le donne italiane di 66 anni hanno il 7,17 per mille di mortalità e le 67enni hanno il 7,74 per mille.
Tali mortalità si scontrano però con l’età media dei dipendenti della Camera dei deputati, che è notevolmente più bassa, tanto che diventa una evidente necessità cominciare a ragionare delle cause scatenanti di determinate malattie.
Un tema, quello della prevenzione della salute dei lavoratori che però prevederebbe un impegno notevole, un grosso studio ed una intensa applicazione da parte dei media che volessero seguire l’argomento.
E’ sicuramente più immediato sparare un bel titolo a 6 colonne su allegre fresconerie, i maniscalchi da 8.000 euro al mese e i barbieri da 15.000. Facile, d’impatto e senza nessuno sforzo cerebrale.

Amerigo Rivieccio