lunedì 21 maggio 2012

A proposito di ‘normalizzazione’

Si è spesso parlato di ‘normalizzazione’ del rapporto di lavoro che lega i dipendenti di Camera e Senato alle rispettive Istituzioni. Purtroppo però viene spesso analizzato, in maniera ottusa o maliziosa, solo l’aspetto reddituale del rapporto senza comprendere che molti istituti potrebbero transitare anche ad altri lavoratori proprio da una finestra di paragone che si vorrebbe unidirezionale. La soluzione in sé non costituirebbe neanche una novità assoluta ed è già stata percorsa, almeno come modus operandi, ma sarebbe egualmente dirompente per effetti ed accoglienza.
Molti degli istituti riservati ai dipendenti del Parlamento sono infatti visti come un sogno da coltivare, un ideale da accarezzare nei più belli e rosei sogni notturni, un vero mondo incantato per i datori di lavoro, un paradiso in terra per i padroni dotati dei peggiori istinti nei confronti dei propri lavoratori, cominciando, ovviamente, da un diritto allo sciopero pressoché azzerato.
Ma il sostanziale quasi azzeramento del diritto allo sciopero dei lavoratori così come il mancato recepimento della Direttiva dell’Unione Europea sull’intervallo minimo, pari a 11 ore, tra la fine di un  turno di lavoro e l’inizio del successivo, viene comunque fortunatamente visto come un tabù. Sono e resteranno quindi solo i dipendenti del Parlamento a non poter godere appieno del diritto allo sciopero e ad avere la possibilità di smontare dopo 10 ore di servizio, fare un salto a casa per una doccia e rimontare, dopo due ore, per un altro turno.
Quello che invece potrebbe ‘transitare’ molto più facilmente verso altri rapporti di lavoro è tutta quella serie di obblighi aggiuntivi o di rinunce a diritti visti come minori.
Per i dipendenti della Camera sono particolarmente interessanti i due punti che seguono:
-         L’orario di lavoro di 40 ore settimanali con l’obbligo però di svolgere almeno 50 ore di straordinario annuo non retribuito, previsioni che, in nome della produzione più che della produttività, potrebbero riguardare tutto il mondo del pubblico impiego ;
-         L’obbligo di esclusività del rapporto di lavoro cui è soggetto anche il dipendente con un contratto di lavoro part-time al 50 per cento, una previsione questa che potrebbe essere estesa a tutti i lavoratori;
Ed anche a mero carattere sperimentale potrebbe essere interessante applicare le medesime limitazioni anche agli eletti, prevedendo quindi anche per i parlamentari l’obbligo di presenza per 40 ore settimanali a Palazzo ed il divieto di svolgere qualsiasi altra professione. Potrebbe essere un modo, per gli onorevoli, di non perdere il contatto con la realtà quotidiana di chi lavora.


Amerigo Rivieccio


venerdì 11 maggio 2012

Pensioni. Con il contributivo per i part-time pensioni più basse. E sono soprattutto donne

Il sistema di calcolo contributivo delle pensioni oltre ad essere stato il grimaldello utilizzato per assaltare le pensioni di tutti i lavoratori italiani ha alcuni difetti insiti nella propria modalità di funzionamento che sono strutturali e su cui occorrerebbe intervenire normativamente.

Più volte sono state illustrate le due principali soluzioni adottate per tenere più basse possibili le pensioni dei lavoratori, attraverso la scelta di tassi di rivalutazione dei montanti contributivi e di conversione di questi montanti in rendita a dir poco opinabili, ma esiste anche un problema di genere collegato alla fruizione di periodi di lavoro ad orario ridotto.
Con il contratto part-time infatti la contribuzione che viene accantonata dal lavoratore sul proprio montante contributivo individuale e che verrà poi trasformata in pensione al cessare dell’attività professionale è ridotta, come l’orario e come la retribuzione.

Ci saranno quindi accantonamenti ridotti che comporteranno pensioni più basse.
La questione diviene di genere dando un’occhiata ai dati sul lavoro part-time in Italia. Nel 2010, ad esempio, delle persone in possesso di un lavoro ne risultavano impiegati a tempo parziale il 15 per cento.
Il dato per genere è però assolutamente polarizzato in quanto risultavano impiegati part-time appena il 5,5 per cento dei lavoratori di sesso maschile a fronte di un sostanzioso 29 per cento delle colleghe lavoratrici.
Con i dovuti arrotondamenti appena un uomo su 20 e quasi una donna su 3 oggi sono a part-time e domani percepiranno una pensione minore.
La quantificazione del danno è solo indicativa, come sempre in caso di proiezioni a lunga scadenza e su basi incerte, ma si aggira su una riduzione del rapporto tra il primo assegno di pensione e l’ultimo stipendio di poco meno dello 0,5 per cento per ogni anno di part-time al 75 per cento e poco meno dell’uno per cento per ogni anno di part-time al 50.
Così un lavoratore che resta in part-time al 50 per cento per 6 anni perderà una parte del proprio assegno di pensione pari al 6 per cento del proprio ultimo stipendio, mentre se avrà optato per il 75 per cento perderà appena, si fa per dire, il 3 per cento.

Trattandosi poi di una scelta così caratterizzata per genere, almeno in Italia, e che quindi denota come essa sia vissuta come una risposta, spesso l’unica possibile, ad altre problematiche, in primis familiari, è evidente come sia del tutto necessaria una risposta normativa che possa annullare o almeno limitare gli effetti pensionisticamente punitivi del lavoro ad orario ridotto.
In sintesi, almeno per chi percorre la strada del part-time in presenza di figli minori, almeno in presenza di figli molto piccoli o con disabilità, chi assiste (mi permetto di aggiungerci realmente) un parente invalido o è egli stesso invalido, almeno per i lavoratori part-time in queste particolari condizioni si dovrebbero cercare e trovare soluzioni.

La prima soluzione potrebbe essere quella di mettere a carico della fiscalità complessiva tutta o una parte della contribuzione mancante alla contribuzione full-time del lavoratore. Il lavoratore ed il datore di lavoro versano la contribuzione sulla quota di retribuzione derivante dalla quota di orario di lavoro svolta e la restante parte viene versata dallo Stato. Questa soluzione costa soldi veri oggi.
La seconda soluzione potrebbe invece essere quella di mettere a carico della fiscalità complessiva tutta o una parte della pensione mancante al lavoratore che gode oggi di part-time. I versamenti di oggi sono ridotti ed al momento della pensione si effettua il calcolo dell’assegno con i contributi effettivamente versati e come se i contributi effettivamente versati fossero stati quelli del lavoro full-time, mettendo a carico della fiscalità generale tutta o una parte della differenza.
Questo costa la promessa di soldi veri, e domani costerà soldi veri quando si dovranno pagare le relative integrazioni.
La terza soluzione, che è quella che sostanzialmente si sta percorrendo oggi, non costa nulla e si è già dimostrata vincente più volte, è quella del silenzio.
Nessuno ne parla, pochissimi se ne accorgono e molti, quando se ne accorgono, scoprono che è troppo tardi per fare qualcosa.

Amerigo Rivieccio

L'articolo su Dazebao

martedì 8 maggio 2012

Montecitorio. Purtroppo un altro decesso

In meno di quattro mesi ed una settimana i dipendenti in servizio alla Camera dei deputati deceduti per motivi di salute sono 4.
Il discorso che facevamo un mese fa sul fatto che nei primi tre mesi del 2012 avevamo perduto un collega al mese resta quindi sostanzialmente identico anche oggi.
Purtroppo.
E resta ancora valida la riflessione sul tasso di mortalità dei dipendenti della Camera dei deputati, che rimane uguale a quella di un gruppo di soli uomini di circa 60 anni di età o di un gruppo di sole donne di circa 67, a fronte di una età media inferiore.

giovedì 3 maggio 2012

Il vero nemico è chiunque riesca a restare fedele alle Istituzioni?

La serie di servizi su quello che è stato battezzato piuttosto pomposamente "il mistero della spesa al Parlamento" ha particolarmente colpito la sensibilità dei dipendenti della Camera dei deputati in generale e la mia in particolare.
Il motivo del contendere è noto un po’ a tutti, due addetti sono stati intercettati mentre portavano delle cibarie in una sede della Camera dei deputati. Per una riunione ai massimi livelli istituzionali o per un incontro estremamente riservato, per un mini vertice istituzionale o per una audizione informale non si sa e non è dato saperlo in quanto i due colleghi rispettano il vincolo di riservatezza cui sono, e siamo, soggetti e rifiutano di rispondere.