martedì 17 settembre 2013

La Puntigliosa 179

La pubblicazione del Sindacato OSA della Camera dei deputati.

I temi affrontati in questo numero:

- L'autodichia e le ripercussioni in termini di norme sul lavoro.

- La trasparenza imposta dal Decreto Legislativo 33/2013 e la sua applicazione ai dipendenti della Camera

- La non applicazione della norma sulla trasparenza ai trattamenti retributivi ed ai curriculum del personale assunto presso le segreterie dei deputati titolari di carica



2 commenti:

  1. LA LETTERA
    Le ragioni di «Libero» e i privilegi (per legge) del Parlamento
    18 lug 2014
    Libero
    ENRICO BUEMI*

    Egregio direttore, il Suo editoriale del 16 luglio su «Libero» affronta una questione sulla quale, invano, da un anno mi affano: la sottrazione delle attività amministrative delle Camere - e per la verità di tutti gli organi costituzionali - dalla legge esterna. In proposito ho avanzato da tempo un disegno di legge (n. 1175), la cui tesi di fondo risulta ora accolta dalla sentenza n. 120 della Corte costituzionale: non tutto è sottratto alla legge ed al giudice esterno, ma solo ciò che è funzionale all' attività politico-parlamentare.
    La gestione amministrativa dei Palazzi ne ha forse risentito? Essa ha già censito i possibili fronti del contenzioso? Ha già scelto, magari con la Camera, la linea da seguire caso per caso? Pare invece che la scelta, che è stata fatta, sia quella dello struzzo: fingere di non vedere. Persino un'interrogazione, da me proposta, s'è arenata nelle secche dell’ammissibilità, quasi che l'unica strategia, che il Senato sa proporre, sia quella di mettere la testa sotto la sabbia.
    Le Sue doglianze, tuttavia, sono fondate. Dobbiamo porci seriamente e convintamente il problema di riportare a norma questo regime: dobbiamo farlo apprestando un piano di rientro nella legalità, che dia alle amministrazioni parlamentari il tempo necessario per adeguarsi all'ingresso nel diritto comune. Si tratta di un ingresso dirompente per molte incrostazioni gestionali e prassi comportamentali equivoche: i tentativi di riforma, sin qui abortiti, avevano tutti come punto debole la tesi dell'autodichia, che impediva l'applicazione diretta della legge esterna nei confronti delle amministrazioni degli organi costituzionali.
    Per questo ho deciso di proporre l'abolizione della vituperata "autodichia", formulando un emendamento all'articolo 64 della Costituzione, che sarà esaminato nel testo di revisione costituzionale del governo Renzi: anche al suo favorevole accoglimento, da parte del Governo e dell'Assemblea, collego il mio atteggiamento nel voto finale sul complesso della riforma costituzionale.

    *Senatore Per le Autonomie-Psi

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  2. Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 302 del
    07/08/2014
    ....
    Testo integrale della dichiarazione di voto del senatore Buemi in sede di
    esame dell'emendamento 39.21 ai disegni di legge costituzionale nn. 1429, 7,
    12, 35, 67, 68, 125, 127, 143, 196, 238, 253, 261, 279, 305, 332, 339, 414,
    436, 543, 574, 702, 732, 736, 737, 877, 878, 879, 907, 1038, 1057, 1193,
    1195, 1264, 1265, 1273, 1274, 1280, 1281, 1355, 1368, 1392, 1395, 1397, 1406,
    1408, 1414, 1415, 1416, 1420, 1426, 1427 e 1454
    Onorevoli colleghi, anzitutto una correzione sul testo stampato (a pagina 728
    del fascicolo); l'ultima parola del testo dell'emendamento 39,21 non è
    "comma", ma "comma 3".
    L'argomento dell'autodichia è costellato, nella sua pluriennale riemersione,
    di una costante, nella reazione alle proposte di abrogazione: NON È QUESTA
    LA SEDE.
    Ci è stato detto quando abbiamo proposto il disegno di legge ordinaria:
    nonostante il fatto che la dottrina abbia confermato, soprattutto dopo la
    sentenza Amato, che la materia delle amministrazioni parlamentari è
    liberamente disciplinabile per legge, ci è stato detto che non era quella la
    sede. Il disegno di legge Maritati e quello Bernardini giacquero per anni
    nelle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, e lì ancora
    giace quello socialista in questa legislatura.
    Ci è stato poi detto che neppure la controversia Lorenzoni - arrivata
    addirittura davanti alla Corte costituzionale - era la sede giusta: chiedemmo
    al Presidente del Senato di non costituirsi a difesa dell'odioso privilegio,
    ma ci fu risposto che non era quella la sede. Fu chiesto al Presidente del
    Consiglio di lasciare che la Corte decidesse senza alcun intervento
    dell'avvocatura dello Stato, ma neppure quella era la sede.
    Quando il Governo fissò un tetto alle retribuzioni pubbliche, si pose il
    problema dei dipendenti degli Organi costituzionali: la soluzione - nel senso
    dell'estensione graduale del tetto, a tutti costoro - fu proposta da me e dal
    collega Di Gioia, in sede di conversione del decreto legge n. 66, ma anche
    qui ci si disse che non era la sede, col risultato, per inciso, del
    degradante spettacolo di decisioni assunte a livello interno sotto i fischi e
    le contestazioni dei dipendenti; sono convinto che - invece - costoro
    avrebbero rispettosamente adempiuto ad una norma di legge, pubblicata in
    Gazzetta Ufficiale.
    Come raccontava Truman, esiste un posto in cui c'è scritto: "Qui finisce lo
    scaricabarile" Quel posto a Washington è l'ufficio del Presidente degli
    Stati Uniti. Nel nostro ordinamento costituzionale quel posto è il
    Parlamento in sede di revisione costituzionale. In questa sede si può tutto:
    far sparire un livello di legittimazione democratica, sopprimere una sede di
    bilanciamento legislativo, alterare il sistema delle garanzie repubblicane.
    Allora non si capisce perché non si possa fare un'operazione più semplice e
    più sensata: affermare l'automaticità dell'ingresso della legge nella vita
    amministrativa degli organi costituzionali. L'alibi che essi rispondono solo
    a giudici interni deve essere rimosso. Su faccende esterne alle loro
    funzioni, deve potersi instaurare un normale contenzioso dinanzi ai giudici
    esterni: rapporti di lavoro ed appalti devono poter ricadere nella grande
    regola dello Stato di diritto, come ha scritto Giuliano Amato nella sentenza
    n. 120.
    Abolire l'autodichia si può, in questa sede, perché è finalmente la sede
    giusta: chiunque, che non sia in malafede, deve riconoscere che questo è
    l'albero giusto per Bertoldo.
    Abolire l'autodichia si deve, perché è fonte di perenne delegittimazione
    del Parlamento, alimentando leggende che danneggiano le professionalità che
    vi lavorano: non spetta a loro proporlo; spetta a noi disporlo, perché la
    politica assuma finalmente il suo ruolo decisionale e, riformando le sue
    istituzioni, le renda resistenti alla becera polemica populista. Qui finisce
    lo scaricabarile.

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